Un cerchietto di ceramica da porre attorno alla testa in grado di far circolare corrente e creare un campo magnetico. La risposta alla dipendenza dalla cocaina potrebbe nascondersi in un simile device, necessario per condurre una stimolazione magnetica transcranica. Una serie di scosse ad alcune aree del cervello sarebbe in grado di risolvere il problema della dipendenza dalla polvere bianca – finora priva di trattamenti efficaci – che attanaglia cinquecentomila italiani.
La notizia giunge da una ricerca pubblicata sulla rivista European Neuropsychopharmacology. Lo studio ha coinvolto un campione più che “reale”, rappresentato da 32 persone in cerca di un trattamento per la dipendenza da cocaina. Un gruppo di 16 pazienti è stato trattato con stimolazione magnetica transcranica ripetitiva (usata anche contron la depressione e il dolore neuropatico), mentre gli altri 16 pazienti “di controllo” hanno ricevuto dei farmaci mirati ad alleviare i sintomi dell’astinenza da cocaina. Nei pazienti del gruppo sperimentale si è riscontrata una forte riduzione dell’uso di droga e dei sintomi da astinenza, rispetto al gruppo di controllo.Inoltre il 69 per cento (11 pazienti) del gruppo trattato con risonanza magnetica transcranica non ha avuto ricadute nell’uso di cocaina, mentre solo il 19 per cento (tre pazienti) dei soggetti trattati con farmaci ha avuto lo stesso risultato positivo. Al termine di questa prima fase, i pazienti del primo gruppo hanno continuato a sottoporsi
L’uso di impulsi magnetici mirati al cervello – nello specifico alla corteccia prefrontale dorsolaterale, sede delle attività cognitive superiori e danneggiata dalla cocaina – s’è rivelato efficace nel ridurre i sintomi da astinenza e l’uso di droga nelle persone dipendenti. L’evidenza, dovuta alla modificazione della plasticità dei neuroni e alla loro ritrovata funzionalità, è stata riscontrata anche a lungo termine: fino a oltre un anno dopo l’inizio del trattamento.
Il risultato ha spinto il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Walter Ricciardi, a evidenziare «il segno della ricerca italiana che coniuga etica e salute e ha un valore enorme sia per gli individui sia per la collettività». A porre le basi del successo è stato il pesarese Antonello Bonci, direttore scientifico dell’Istituto Nazionale sull’Abuso di Droghe (Nida) di Bethesda. National Institute on Drug Abuse (Nida) di Bethesda. A concretizzarlo in Italia Luigi Gallimberti e Alberto Terraneo, entrambi operativi all’ospedale San Camillo di Venezia. Coinvolti anche due ricercatori del dipartimento di neuroscienze dell’università di Padova: Marina Saladini e Mario Ermani.